Il Bacco di Michelangelo Merisi detto Caravaggio pur essendo nato a Milano
Tra i frutti portati dall’Autunno figura, probabilmente al primo posto, l’uva. Fin dai tempi antichi il frutto della vite (insieme al suo derivato, il vino) gode di enorme fortuna, tanto da essere protetto da divinità importanti in differenti culture. Dioniso in Grecia, Fufluns tra gli Etruschi e Bacco a Roma. I tre dei sono accumunati da alcune caratteristiche, quale ad esempio la provenienza da un dio arcaico della vegetazione, che veniva chiamato in causa probabilmente in modo propiziatorio e ritenuto protettore della scintilla vitale che anima la Natura.
In questo senso è lecito pensare che alcuni culti religiosi, anche quelli attuali, siano derivati, in modo più o meno diretto, da antichissimi riti legati all’agricoltura, tesi ad accaparrarsi i favori delle divinità o quanto meno a non mettersele contro.
Proprio a Bacco (la cui etimologia rimanda al latino bacchius, ripreso dal greco, che significa schiamazzo, grida, da qui il termine italiano baccano), dio dell’arte e della liberazione dei sensi, Michelangelo Merisi (passato alla storia come Caravaggio) dedicò una delle sue opere più celebri.
Il dipinto, commissionato da un cardinale e ambasciatore mediceo (protettore di Caravaggio) per Ferdinando I de’ Medici, quale regalo di nozze per il figlio di quest’ultimo Cosimo II, venne realizzato tra il 1596 e il 1598.
L’opera dell’artista lombardo si presenta come una somma di figura e natura morta, dove Bacco è però rappresentato in modo ambiguo, pur conservando un contesto tradizionale, ravvisabile nella seminudità del giovane (seduto su un triclinio, divano in voga nei simposi dell’antica Grecia) e negli elementi floreali.
Se nell’iconografia classica il dio del vino è stato rappresentato come paffuto e sorridente, Caravaggio ne dà una visione meno eterea. Lo sguardo di Bacco si presenta quasi stordito a causa dell’ebbrezza provocata dal vino. Così come la mano che sta offrendo la coppa, colma della bevanda in questione, sembra essere tremolante (si notino le increspature nel bicchiere).
L’altra mano regge un fiocco, simbolo del nodo che lega Dio (dei Cristiani) all’Uomo ed elemento fondamentale della filosofia neoplatonica (di Marsilio Ficino, per il quale la pia filosofia sottrae l’anima dagli inganni dei sensi e le fa percepire la verità divina). Una filosofia ben nota al cardinale Del Monte che commissionò l’opera.
Che dire a proposito del modello? Alcuni studiosi affermano che Michelangelo si sia messo davanti allo specchio e si sia dipinto. Una sorta di autoritratto in cui il volto del pittore si è tramutato in quello del dio. Altri critici d’arte invece sostengono la tesi per la quale il modello sia stato Mario Minniti, pittore a sua volta, collaboratore e amante (nonché convivente per un certo periodo di tempo) di Caravaggio. Tant’è che i lineamenti di Minniti appaiono in una decina di quadri di Michelangelo Merisi, tra i quali spiccano i Fanciulli con canestro di frutta (1593-94) e I bari (1594). Forse mai si saprà la verità perché Michelangelo Merisi da Caravaggio (in realtà nacque a Milano, lo sappiamo dall’atto di battesimo), dopo essere scampato a parecchie risse e anche ad una condanna per decapitazione (nel 1606 pugnalò a morte Ranuccio Tommasoni, un rivale, forse anche politico oltre che amoroso, dopo un diverbio per un fallo al gioco della Pallacorda, antenato del Tennis), morì, probabilmente di setticemia, nel 1610, terminando una vita turbolenta.