Flavio Claudio Giuliano detto l’Apostata ma sconosciuto al ragionier Ugo Fantozzi
Reso celebre, almeno in Italia, da una scena di Fantozzi subisce ancora (1983), quando il giramondo Franchino chiede, nel bel mezzo di una discarica e nel generale imbarazzo degli astanti, a Ugo Fantozzi chi sia il fantomatico personaggio che il ragioniere scambia per un tale affetto da prostatite acuta, Flavio Claudio Giuliano fu imperatore unico dell’Impero Romano dal 361 al 363.
Propugnatore delle istanze religiose romane, inclini al politeismo e ad una religione prettamente cultuale (attraverso il rito si voleva ottenere la pace degli dei e di conseguenza l’armonia terrena), rinnegò (da qui l’appellativo apostata) il Cristianesimo che era stato a suo tempo difeso strenuamente da suo zio Costantino, che fondò Costantinopoli. Quel Costantino che la leggenda vuole vittorioso su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio (312) dopo aver visto in sogno la croce e considerato il promulgatore dell’Editto di Milano (313), che in realtà non fu un editto, ma semplicemente l’applicazione di una disposizione dettata (311) dal precedente imperatore, Galerio, che permetteva a ciascuno di professare il proprio culto.
In questo contesto Giuliano, educato sin da piccolo alla cultura orientale e greca, fu un imperatore contro. Un imperatore che si contrappose all’ideale figura del sovrano circondato da un’aurea sacrale. Un sovrano, proprio come fu Costantino, capace di essere, da una parte, intermediario tra la divinità e il mondo terreno e dall’altra protettore della Chiesa (Cattolica), mentre da quest’ultima era sostenuto nella sua azione e veniva, allo stesso tempo, divinizzato dal popolo.
Per portare a termine la sua opera Giuliano tolse ai cristiani tutti i privilegi dati loro dai suoi predecessori. Nel 362 arrivò ad impedire loro l’insegnamento nelle scuole pubbliche. Inoltre l’imperatore, che si ispirava al Neoplatonismo e scrisse diverse opere filosofiche, formulò una riforma nelle istituzioni religiose che sembrava ricalcare le strutture della Chiesa cristiana. Una riforma per la quale fu inviso da quanti erano ormai dediti al Cristianesimo (si pensi ai contrasti con gli abitanti di Antiochia che lo irridevano per il suo aspetto fisico poco elegante, dato anche dalla barba incolta, e ai quali lo stesso Giuliano dedicò il breve e curioso componimento L’odiatore della barba) e che non riuscì a portare a compimento. Infatti nel 363 durante una campagna militare in Persia cadde trafitto a morte (con grande giubilo degli autori cristiani), anche perché, nella concitazione della battaglia, pare avesse scordato di indossare la corazza.
Anche per non aver nominato alcun successore, Giuliano, insieme allo zio Costantino, resta ancora oggi il simbolo di un intero secolo, il quarto. O addirittura il simbolo di un’epoca che segnò uno spartiacque nella storia occidentale (e non solo).
I due imperatori in questione sembrano essere le due facce della stessa medaglia. Da una parte Costantino rappresenta il passaggio di testimone da un impero politeista a uno cristiano, nel quale Stato e Chiesa divengono un’unica entità. Di converso, Giuliano incarna l’attaccamento ai valori tradizionali del medesimo impero che, almeno nella sua parte occidentale, è ormai prossimo a cadere e nel quale il Cristianesimo si è insinuato attraverso le crepe aperte da crisi politiche e religiose.